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Commissione Pari Opportunità: promuovere uguaglianza, diritti e cultura della condivisione e non quella della separatezza dei ruoli

All’indomani dall’insediamento della nuova Commissione per le Pari Opportunità, dalla quale è stata esclusa la presenza delle Organizzazioni Sindacali, fatto gravissimo che abbiamo prontamente contestato, i Consiglieri regionali Menchi, Biondi e Marinelli (Lega) hanno presentato una Proposta di legge regionale per modificare la Legge n.9/1986 istitutiva della CPO e allargarne la composizione di ulteriori 6 componenti.

Nella relazione illustrativa della proposta di legge si legge che l’obiettivo è quello di “integrare la rappresentanza del mondo femminile con particolare riguardo ad alcuni aspetti della vita familiare e sociale” e “portare la voce di donne che, per la propria condizione di disabilità o per farsi carico di impegni familiari legati alla condizione di cargiver -nel testo è scritto proprio così!- “rispetto ai propri figli e/o ad anziani, si trovano in una situazione di difficile inserimento nel mondo del lavoro o comunque di rinuncia rispetto a percorsi di crescita e realizzazione professionale”.

Se questa è la finalità dichiarata, occorre innanzitutto ricordare che, nel passato, il tema della disabilità è sempre stato affrontato dalla CPO non solo nello specifico gruppo di lavoro ma anche promuovendo e sostenendo concretamente specifici progetti per affrontare il tema della disabilità coerentemente al compito che la legge attribuisce alla CPO di rimuovere ogni discriminazioni e di promuovere le pari opportunità.

In realtà, dietro a quello che appare come un semplice allargamento del numero delle componenti si nasconde lo snaturamento profondo del ruolo e della funzione della CPO che sarà composta da “ventisette donne che abbiano riconosciuta esperienza sulla condizione femminile nei suoi diversi profili con particolare attenzione a donne madri, madri di figli con problemi di disabilità e donne esse stesse portatrici di disabilità, donne con carichi familiari, le quali siano rappresentative dei movimenti e/o delle diverse culture del mondo femminile”.

Secondo Daniela Barbaresi, Cristiana Ilari e Claudia Mazzucchelli, Segretarie di CGIL CISL UIL Marche, “per far parte della CPO occorrerà essere innanzitutto madri, donne con carichi familiari o donne disabili: una proposta inaccettabile che contestiamo con forza, perché espressione di una cultura arcaica e patriarcale che vuole le donne relegate all’interno delle mura domestiche nel ruolo di madri amorevoli, angeli del focolare dedite alla cura di figli e familiari. Una proposta che nei fatti nega decenni di battaglie per la libertà, l’uguaglianza, i diritti e l’autonomia delle donne”.

“Siamo le prime a rivendicare la necessità del riconoscimento, anche ai fini previdenziali, del lavoro di cura ma ciò deve avvenire promuovendo il valore dell’uguaglianza e la cultura della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne, come dimostra anche l’importanza del tema della conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle famiglie di lavoratori e lavoratrici, per questo riteniamo necessario rivendicare un’adeguata rete di welfare, a partire dai servizi per la prima infanzia e per la non autosufficienza. Obiettivi e valori che pensavamo essere ormai patrimonio comune”.

Dunque, aggiungono, ”dopo aver escluso il Sindacato dall’attuale CPO, di fatto negando il valore di organizzazioni sociali che rappresentano migliaia di lavoratrici e pensionate e disconoscendo la necessità di superare le troppe diseguaglianze ancora presenti nel mondo del lavoro, la Regione enfatizza l’immagine della donna che si dedica alla cura rinunciando al lavoro e alla crescita e realizzazione professionale. Una regione che sembra dimenticare che purtroppo per molte donne questa non è una scelta ma una necessità e così facendo certifica le diseguaglianze e la mancanza di un welfare adeguato anziché agire concretamente per garantire diritti e opportunità”.

Barbaresi, Ilari e Mazzucchelli annunciano: “Ci opporremo in ogni modo a tale visione e scelte arretrate e pericolose che vorrebbe riportarci indietro di 50 anni”.

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