Continua a diminuire l’importo della pensione dei marchigiani che hanno lasciato il lavoro nell’ultimo anno e mezzo. È quanto emerge dall’analisi della Uil Pensionati Marche sui dati diffusi dall’Inps che mettono a confronto gli importi medi delle pensioni in uscita tra gennaio 2020 e giugno 2021. Complessivamente, nel 2021 si sono ritirati dal lavoro 15.689 marchigiani, mentre nella prima metà del 2021 ne sono andati in pensione altri 7.278, con una maggioranza di donne per la vecchiaia (3.574 su un totale di 6.732 nel 2020 e 1.674 su un totale di 3.191 nel primo semestre 2021) ma soprattutto di uomini per la pensione anticipata (5.297 su un totale di 8.957 nel 2020 e 2.516 su un totale di 4.087 nei primi sei mesi del 2021).
Non solo: al momento del pensionamento, nel 2020, chi ha avuto accesso alla pensione di vecchiaia ha percepito mediamente un rateo di 845 euro – 989 gli uomini e 718 le donne, mentre nel primo semestre del 2021 la media è scesa a 761 – 870 per gli uomini e 663 per le donne. Gli importi cambiano nel caso della pensione anticipata con una media di 1.784 euro nel 2020 e 1.663 al primo semestre 2021, dato fortemente condizionato dagli importi delle pensioni “maschili” che, come detto, sono la netta maggioranza. Nel caso della pensione anticipata, infatti, sale ancora il divario tra uomini e donne con una differenza di 381 euro nel 2020 e addirittura di 464 nelle pensioni erogate nel primo semestre di quest’anno.
“Sono diversi gli elementi che emergono con maggiore forza – dichiara Marina Marozzi, Segretaria Generale Uil Pensionati Marche – Innanzitutto il calo evidente dell’importo medio della pensione, fattore su cui ha sicuramente inciso la decisione di molti marchigiani in possesso dei requisiti di optare per l’uscita anticipata anche di fronte alle incertezze sul dopo quota 100, oltre che della sempre maggiore incidenza della quota contributiva nel calcolo del rateo. Accanto a ciò, l’enorme divario tra gli importi mensili che riguardano le pensioni degli uomini con quelli relativi alle pensioni spettanti alle donne. Un altro elemento di riflessione – strettamente legato al punto precedente – è il numero dei pensionamenti suddiviso per genere: il fatto che molte donne non possano accedere alla pensione anticipata – la vecchia pensione di anzianità – è frutto di una tradizione che ha sempre fortemente penalizzato le donne, con una vita lavorativa spesso discontinua. Ciò che incide negativamente sugli importi sono le carriere di minor rilievo, oltre che del fenomeno del gender gap – particolarmente radicato in Italia – che vede una disparità di trattamento a parità di mansione -, con l’aggravante di interruzioni o part time quali scelte obbligate per adempiere ai compiti di cura di figli, nipoti e familiari anziani. Nell’attesa di una parità culturalmente condivisa e dell’introduzione di forme compensative che i sindacati chiedono da tempo, urgono – conclude Marina Marozzi – servizi alla persona efficienti e diffusi sul territorio, a partire da asili nido e assistenza agli anziani non autosufficienti che possano aiutare oggi le donne di ogni età ed evitare che altre generazioni di donne in futuro continuino a pagare la forte disparità di trattamento e rassegnarsi ad una vecchiaia in povertà”.