Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19
Fin dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, Uil, Cgil e Cisl hanno chiesto al Governo misure urgenti per proteggere le lavoratrici ed i lavoratori interessati e il nostro sistema produttivo.
Venerdì il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto legge, pubblicato il 2 marzo in Gazzetta Ufficiale, che contiene le prime misure. È evidente che affrontare tutte le ricadute dell’emergenza sanitaria nel mondo del lavoro, delle imprese e dei cittadini non è cosa semplice. E d’altra parte, il Decreto stesso contiene provvedimenti di natura fiscale, di sospensione di termini, di sostegno alle imprese, di aiuto al lavoro autonomo, ecc. ma noi qui ci occuperemo specificatamente dei temi legati agli ammortizzatori sociali, quali strumento di sostegno al reddito delle lavoratrici e dei lavoratori.
Nello specifico, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale sono immediatamente operative le misure di sostegno al reddito contenute nel Decreto legge 2 marzo 2020 n° 9.
Per quanto riguarda il merito del Decreto, come valutazione complessiva ci saremmo aspettati, come avevamo chiesto, più coraggio nella definizione delle misure, nella flessibilità degli interventi, nello snellimento burocratico delle istanze e una dotazione finanziaria adeguata alla complessità dell’emergenza in atto. Abbiamo davanti, infatti, una situazione estremamente preoccupante che, se non gestita correttamente, rischia di aprire le porte a una nuova recessione.
Riteniamo che le ricadute economico-finanziarie, dovute all’emergenza sanitaria, saranno pesanti, riguarderanno interi settori merceologici, vaste aree del Paese e migliaia di lavoratrici e lavoratori per un lasso di tempo difficile da stimare ma che andrà ben oltre la soluzione dell’emergenza sanitaria stessa.
Da un lato, il settore industriale e manifatturiero, anche fuori dai confini delle aree colpite dal virus, sta registrando cali significativi della produzione e delle attività in relazione alla diminuzione delle commesse e degli ordinativi.
Dall’altro lato, vi è il dramma che sta colpendo il nostro settore turistico-ricettivo, con ricadute sui trasporti, che registra un fortissimo calo delle presenze ed un numero impressionante di disdette su tutto il territorio nazionale.
Nello specifico, il quadro degli interventi risponde efficacemente alle necessità insorte a seguito
dell’emergenza sanitaria solo per le imprese ed i datori di lavoro direttamente o indirettamente collegati alle c.d. “zone rosse” (11 Comuni).
Non sembrano invece adeguate le risposte che il Decreto mette in campo per tutte le altre aree del Paese interessate da misure restrittive, a partire dalle tre Regioni maggiormente colpite (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), laddove le misure di contenimento del contagio interessano un numero rilevante di attività e, conseguentemente, di lavoratrici e lavoratori.
Infatti, non ci sembra sufficiente il ricorso agli “ordinari” strumenti di sostegno al reddito per dare un adeguato sostegno al reddito a seguito della chiusura del sabato e della domenica di interi centri commerciali di provincie popolose come Bergamo, Lodi, Piacenza e Cremona; oppure della sospensione delle attività di tutte le palestre, i centri sportivi, le piscine, i centri benessere e quelli termali di tutta la Lombardia.
Si tratta, per la maggioranza, di attività sottoposte alla disciplina del Fondo di Integrazione Salariale, le cui misure rischiano di non essere in grado di dare le necessarie coperture alle lavoratrici ed ai lavoratori di quei settori e hanno, dunque, bisogno di essere corrette e adattate alle nuove necessità, come è stato fatto per le “zone rosse”.
Ci riserviamo comunque di riproporre alcuni temi per i quali riteniamo siano necessari ulteriori provvedimenti nei prossimi incontri che le parti sociali hanno già in programma con il Governo, a partire da quello fissato domani con il Presidente del Consiglio Conte.
Con queste premesse passiamo ad una analisi sistematica del provvedimento limitandoci, naturalmente, agli articoli dedicati alle misure di sostegno al reddito.
Art. 13
“Norme speciali in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e assegno ordinario” Gli strumenti utilizzati per intervenire sono i trattamenti ordinari di integrazione salariale.
Si tratta delle due fattispecie previste dalla normativa vigente, la Cigo e l’Assegno Ordinario del FIS, per i casi in cui la sospensione o la riduzione delle attività è dovuta a provvedimenti della “pubblica autorità” per cause non imputabili all’impresa o ai lavoratori.
L’ambito di applicazione di questa misura riguarda le imprese ed i datori di lavoro localizzati all’interno degli 11 comuni della “zona rossa”, ovvero in favore di imprese e datori di lavoro che non abbiano unità produttive all’interno della “zona rossa” ma abbiano dipendenti residenti o domiciliati nelle predette aree.
Per queste imprese e datori di lavoro si prevede che:
• le procedure, per le richieste di Cigo e di Assegno Ordinario (FIS), possano derogare agli obblighi di informazione e consultazione e ai termini di presentazione delle istanze, che vanno comunque
presentate entro la fine del quarto mese successivo all’inizio della sospensione;
• l’intervento di Cigo o di Assegno Ordinario, la cui durata massima è prevista in 3 mesi, non rilevi ai fini dei periodi massimi complessivi previsti dalla norma (24 mesi in un quinquennio per la Cigo e 6 mesi in un biennio mobile per l’Assegno Ordinario);
• l’Assegno Ordinario, originariamente previsto solo per imprese con più di 15 dipendenti, venga esteso ai datori di lavoro che occupano più di 5 e fino a 15 dipendenti (classe dimensionale per la
quale era previsto il solo Assegno di Solidarietà);
• per le imprese e datori di lavoro che richiedono l’Assegno Ordinario e limitatamente a questi interventi non si applica il tetto di spesa pari a 10 volte la contribuzione versata;
• per i percettori sia di Cigo che di Assegno Ordinario, si possa derogare all’anzianità aziendale di 90 giornate, fermo restando che gli stessi risultino in forza alla data del 23 febbraio 2020.
Infine, sono previsti tetti di spesa per entrambe le prestazioni che come detto non potranno avere durata superiore ai 3 mesi: per la Cigo il limite di spesa per l’anno 2020 è fissato in 5,8 milioni di euro e per l’Assegno Ordinario in 4,4 milioni di euro.
L’Inps monitorerà la spesa ed al raggiungimento di tali limiti non erogherà più prestazioni. Come detto si tratta di misure che introducono la flessibilità necessaria per adattare le norme in vigore con la straordinarietà dell’emergenza sanitaria.
In particolare, l’estensione dell’Assegno Ordinario anche alla classe dimensionale di aziende, sottoposte al FIS, da 6 e fino a 15 dipendenti è di fondamentale importanza e rappresenta una delle modifiche che abbiamo chiesto a più riprese al Ministero del Lavoro quale intervento strutturale di questo istituto.
La durata degli interventi è limitata ad un massimo di tre mesi, ma pare onestamente adeguata, anche in previsione di eventuali modifiche da introdurre, se necessario, durante l’iter di conversione in Legge del Decreto.
Art. 14
“Trattamento di integrazione salariale ordinario per le aziende che si trovano già in Cassa integrazione straordinaria”
Sempre limitatamente ai comuni indicati come “zona rossa” si interviene per quelle aziende che hanno un provvedimento di Cassa Integrazione Straordinaria in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6.
L’obiettivo è quello di interrompere, per queste aziende, il periodo di Cigs le cui causali ed i relativi interventi di risanamento o riorganizzazione rischiano di essere vanificati dall’emergenza sanitaria in corso.
La norma permette la trasformazione, previa adozione di uno specifico decreto Ministeriale, della Cigs in Cigo per un periodo massimo, in analogia con le misure sopraesposte, di 3 mesi.
Le domande di Cigo sono presentate ai sensi del precedente art. 13 e possono quindi beneficiare delle flessibilità e delle deroghe sopra previste.
Al riguardo va detto che malgrado le buone intenzioni c’è il rischio di creare della confusione con intrecci burocratici le cui tempistiche sono difficili da prevedere se non si danno indicazioni amministrative improntate alla tempestività ed alla chiarezza.
Di sicuro vantaggio la sterilizzazione del periodo richiesto rispetto alle durate massime previste per la Cigs.
Art. 15
“Cassa integrazione in deroga”
Con l’art. 15 si estendono gli interventi di integrazione salariale per le imprese ricadenti nell’ambito di applicazione di cui all’art.13 (zone rosse) anche a tutte le imprese e datori di lavoro che non possono beneficiare degli strumenti di sostegno al reddito previsti a legislazione vigente.
Si tratta essenzialmente di quelle aziende di piccole e piccolissime dimensioni che occupano meno di 6 dipendenti e che non hanno nessun tipo di sostegno al reddito in caso di sospensione delle attività.
Ai lavoratori dipendenti da questa tipologia di aziende potrà essere concessa la Cassa integrazione in deroga per un periodo massimo di 3 mesi a decorrere dalla emissione del Decreto-legge 23 febbraio 2020 n° 6.
Oltre all’indennità di integrazione salariale ai lavoratori verrà assicurata la contribuzione figurativa.
La concessione dei trattamenti sarà, come già avvenuto in passato, gestita direttamente dalle Regioni dove insistono le unità produttive interessate.
Le amministrazioni regionali verificano la sussistenza delle causali ed emettono specifici decreti da trasmettere, entro 48 ore, all’Inps corredati dalla lista dei beneficiari.
Sarà poi l’Inps ad erogare le prestazioni, con pagamento diretto agli aventi diritto, fermo restando che il Decreto fissa un limite di spesa massimo di 7,3 milioni di euro per l’anno 2020 la cui ripartizione, tra le Regioni interessate, è disciplinata con Decreto Direttoriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Va infine ricordato che sono esclusi dagli interventi previsti i datori di lavoro domestico.
Art. 16
“Indennità lavoratori autonomi”
A completamento delle misure previste per i comuni della c.d. “zona rossa” con l’articolo in esame si prevede la corresponsione di una indennità in favore dei collaboratori coordinati e continuativi, dei titolari di rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale e dei lavoratori autonomi o professionisti ivi compresi i titolari di attività di impresa che svolgono la loro attività, ovvero sono domiciliati, in questi comuni.
Si tratta di una indennità mensile pari a 500 euro erogata direttamente dall’Inps, per un massimo di tre mensilità, parametrati alla reale sospensione delle attività e con un limite di spesa massimo di 5,8 milioni di ero per l’anno 2020, la cui ripartizione tra le Regioni interessate è disciplinata con Decreto Direttoriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Da sottolineare che il Decreto prevede espressamente che tale indennità non concorra alla formazione del reddito ai fini Irpef.
La concessione dell’indennità è affidata come per la Cassa integrazione in deroga alle Regioni tramite apposito decreto contenente anche la lista dei beneficiari trasmesso entro 48 ore dalla sua emissione all’Inps.
Art. 17
“Cassa integrazione in deroga per Lombardia, Veneto ed Emilia- Romagna”
Con questo articolo si estendono le previsioni di cui al precedente articolo 15, relativamente alla possibilità di concedere interventi di cassa integrazione in deroga, alle tre regioni maggiormente colpite dall’emergenza sanitaria e soggette alle ordinanze restrittive per alcune attività, a seguito della emissione del Decreto-legge 23 febbraio 2020 n°6.
Il campo di applicazione della norma è limitato a tutti i datori di lavoro che hanno sede legale o unità produttive che insistono in queste regioni e che hanno comunque dipendenti residenti nelle stesse, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione e riduzione di orario.
Queste imprese possono accedere a trattamenti di cassa integrazione in deroga nel limite massimo di un mese e limitatamente ai casi di “accertato pregiudizio”.
Le prestazioni saranno concesse tramite decreto della Regione interessata e dovrà essere corredato da accordo sindacale e dalla lista dei beneficiari.
Anche in questo caso gli interventi sono erogati con pagamento diretto Inps e soggetti ad un limite massimo di spesa pari a 135 milioni di euro per la Lombardia, 40 milioni di euro per il Veneto e 25 milioni di euro per l’Emilia-Romagna.
Come accennato in premessa, si tratta di una misura indirizzata a fasce di lavoratori che non avrebbero accesso a nessun tipo di ammortizzatore sociale che però mostra dei limiti evidenti.
Ci riferiamo innanzi tutto al fatto che ci si limiti alle sole tre Regioni citate, non considerando nemmeno altri territori che comunque vengono ricompresi nel Dpcm del 1° marzo 2020 che ha impartito “ulteriori disposizioni attuative del Decreto-legge n°6 del 23 febbraio: le provincie di Pesaro-Urbino e quella di Savona.
Anche la limitazione dell’intervento a soli 30 giorni ci sembra insufficiente alla luce del fatto che, ferme restando le durate delle ordinanze restrittive, alla base “dell’accertato pregiudizio” recato alle attività interessate, gli effetti dell’emergenza avranno riflessi che sicuramente andranno oltre tali periodi.
Inoltre, non vengono introdotti per questo provvedimento quegli elementi di flessibilità e di deroga che caratterizzano l’intervento definito per le c.d. “zone rosse”.
In particolare, tutti i datori di lavoro oggi destinatari del solo Assegno di Solidarietà del FIS, quelle con più di cinque e fino a 15 dipendenti, non potranno accedere ad una sospensione a zero ore delle attività ma solo ad una riduzione come previsto per la normativa sui contratti di solidarietà, restando attivo il tetto massimo di capienza aziendale (10 volte il versato). Infine, sia per la Cigo che per il Fis, queste settimane rilevano ai fini delle durate massime previste dalla norma, e resta in vigore il requisito delle 90 giornate di anzianità aziendale per l’accesso.
È evidente che restano scoperte non solo le realtà aziendali che dipendono dalle ordinanze restrittive come ad esempio le mense scolastiche in diverse regioni italiane, ma intere filiere ed aziende che comunque hanno, o avranno, effetti diretti ed indiretti dall’emergenza sanitaria, su tutto il territorio nazionale.
Va, inoltre, ricordata la situazione particolare che riguarda i lavoratori stagionali che non potranno essere rioccupati e resteranno senza alcun tipo di sostegno al reddito al termine del periodo di disoccupazione indennizzato.
In questa situazione la tempestività e la rapidità sono essenziali, altrimenti si rischia che, nel lasso di tempo necessario per la conversione in Legge di questo Decreto e dei successivi, gli interventi – se nonimmediatamente aderenti alle necessità e quindi inclusivi – arrivino fuori tempo massimo.